Giustizia riparativa

24 ottobre 2019 - eventi

Giustizia riparativa - Il dialogo impossibile diventa possibile

Ci sono storie dominate dal dolore, dalla disperazione, dalla paura, dalla morte, che l’uomo, nel tempo, ha saputo trasformare in raggi di luce, spiragli di speranza, esempi di virtù, storie di rara umanità che confermano che il bene può vincere sul male, anche quello più feroce.

Questa è la storia di un incontro, di un incontro difficile, insperato, ma anche disperato, che ha come protagonisti da una parte uomini e donne esponenti di spicco del terrorismo di matrice politica che ha segnato profondamente la storia del nostro Paese degli anni ‘70-’80, e che da quella esperienza si sono, poi, dissociati, e dall’altra le vittime o i familiari delle vittime della lotta armata, coloro che direttamente o indirettamente hanno subito perdite e lutti per mano degli stessi ex- brigatisti.

All’insaputa di tanti, nel corso di 7 lunghi anni tante ferite sono state sanate, così come ci ricorda Agnese Moro, figlia di Aldo: “l’importante è curarle, anche nel senso di prendersene cura in una reciprocità che è probabilmente il frutto più bello di tutto il nostro tentativo”.

L’incontro impossibile è stato reso possibile grazie all’intervento di un gruppo di mediatori composto dal padre gesuita Guido Bertagna, dal criminologo Adolfo Cerrett) e dalla giurista Claudia Mazzuccato, i quali, a partire dalla fine degli anni novanta per “intrecci dell’esistenza” si sono trovati a condividere lo sviluppo di percorsi umani di chi da una parte viveva l’elaborazione di una colpa, la presa di distanza da scelte violente, la ricostruzione di una vita sensata e integrata nella società civile e dall’altra di chi fa i conti con l’elaborazione del lutto e della mancanza e del tragico attraversamento della violenza. Nessun mandato istituzionale e nessun finanziamento: i mediatori hanno agito in totale libertà e autonomia. Il loro ruolo ha, così, favorito la custodia delle prerogative fondamentali sulle quali il cammino poteva fondarsi: profondità e autenticità umana del confronto, libertà, riservatezza, fiducia, discrezione, confidenzialità e gratuità.

L’Albero di Zaccheo ha organizzato l’8 novembre 2019 un evento per far conoscere questa realtà. Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, e Franco Bonisoli, uno degli ex-brigatisti che partecipò attivamente al rapimento sono intervenuti come testimoni della Giustizia Riparativa. Abbiamo assistito ad un racconto toccante che insegna che non esiste il dialogo impossibile. Agnese e Franco hanno narrato la storia della loro unica amicizia, dal loro avvicinamento ad oggi, che porta con sé un grande messaggio di speranza.

 

Locandina evento

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Il libro dell'incontro

Il libro dell'incontro contiene una raccolta di testimonianze di grande valore che offrono al lettore la possibilità di interagire umanamente con chi scrive, di com-patire, affondando nelle trame di vite profondamente toccate dalla violenza e dalla disperazione. Il dolore, infatti, è il denominatore comune che accomuna vittime e colpevoli: i primi dimenticati ai margini delle vicende che li hanno colpiti, e i secondi a fare i conti con un passato incancellabile, irrimediabilmente vittime (anch’essi) dell’efferatezza dei loro stessi crimini.

Il cammino svolto in Italia si allinea con esperienze luminose e istruttive già consolidate in Sud Africa, di Restorative Justice operate dalla Truth and Reconciliation Commission, ben conosciute dai tre autori. Introduce inoltre un nuovo approccio al rapporto tra reato e pena, sostituendo alla volontà puramente risarcitoria e compensativa della pena un percorso riparativo che rispetta il primato interpersonale, cerca il riconoscimento reciproco, la corresponsabilità dell’intera comunità, passa da un sistema reocentrico ad un altro nel quale si riconosce la centralità e la dignità della vittima. Produrre giustizia è fabbricare la pace, e le vittime sono fabbriche di pace. Al centro vi è il superamento della concezione rigidamente retributiva della pena per potere sperimentare nuove risposte al reato.

Scrive Mazzuccato: “Il modello attuale resta sostanzialmente il “far del male a chi ha fatto del male”, alla retribuzione del reato con la pena. Invece che prendere le distanze dal reato lo si replica nella sanzione. Pur con le dovute differenze anche l’omicidio e la pena a vita svelano una sinistra vicinanza: in certa misura anche lo Stato “si prende la vita dell’ergastolano”. Il carcere, inoltre, contiene aspetti di coercizione e di ineliminabile inumanità che assomigliano certo più all’aggressività del crimine che alla virtù della giustizia”.

 

Hannah Arendt, politologa e filosofa vittima della persecuzione nazista, aveva compreso davanti ai crimini più gravi che non vi sono margini di manovra per la giustizia retributiva: se sembrano impossibili da perdonare quei crimini sono di sicuro impossibili da punire. Impossibile punire l’inespiabile. Insomma i conti non tornano, la bilancia non funziona. Allora la risposta è la relazione, l’incontro nella parola, nell’imperativo dei volti che fa di questa storia un racconto sulla forza della fragilità umana laddove anche il vissuto è fragile, ma abbonda di una dolorosa bellezza ed è ricco di speranza, virtù fragile per eccellenza. E’ la dinamica del “racconto nell’incontro” in grado di generare indubbi avvicinamenti tra le persone che ha prodotto in ciascuno il “tenere” alla storia dell’altro l’”aver cura” di lui, “avere a cuore” la sua vita. E’ una disponibilità dolorosa che porta con sé l’auspicio di una fecondità.

La giustizia riparativa è la giustizia dell’incontro: come da fonti giuridiche internazionali (Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea) il reato appare nella sua concretezza di evento relazionale, che coinvolge tutti i poli della “molecola criminale” (offensore/vittima/collettività) e mira ad accostare l’illecito non solo e non tanto come fatto trasgressivo della legge da punire, bensì come accadimento complesso che ha luogo tra persone seppure all’interno di un’interessante e inedita interlocuzione con il precetto penale. La giustizia riparativa si svolge, infatti, all’insegna della legge. Così la giustizia diventa responsabilità per la verità, una verità costruita con fatica grazie al contributo di tutti, che affiora come dall’immagine di un puzzle, perché ciascuno porta con sé un pezzo necessario affinché se ne possa afferrare il senso.

Qualcuno afferma: “La verità qui si fa a più mani. Così come la giustizia. Con tutti i rischi e le fragilità che si sono detti.”

Ecco che il libro è il compimento di un cammino, non la sua fine o il suo finale, piuttosto una consegna: la consapevolezza che un percorso deve poter essere consegnato a qualcuno perché possano aprirsi nuovi, ulteriori, orizzonti.

 

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